Il viaggio che vi racconto oggi , e di cui potete vedere le foto nell’album che ho preparato per voi, è cominciato in modo assolutamente casuale. Ho aperto la mappa e ho puntato il dito, mi sono teletrasportata e un gentile tempietto circolare di pietra mi ha accolto, facendomi notare che ero il visitatore numero 35. Senza chiedermi che fine avessero fatto gli altri 34, che comunque mi sembravano pochini , mi sono diretta verso una imponente statua in piombo che troneggiava davanti ad un castello. Alla base della statua, che raffigurava un angelo poco rassicurante, c’era una lapide con l’immagine scolpita dell’uomo vitruviano. L’uomo misura di tutte le cose…
Con la mia solita mania di toccare tutto , mi sono sognata di cliccare proprio sull’ombelico di Vitruvio , e manco a dire la lapide ha cominciato ad alzarsi, scoprendo una scalinata . Ovviamente sono scesa a vedere, ma dopo una breve discesa sono stata fermata da un pesante muro di pietra che bloccava il passaggio.
Il suono di tanti campanellini usciva impalpabile dal muro, era un suono celestiale che rimandava a dimensioni extracorporee prive dell’affanno quotidiano. Il muro era proprio spesso, e senza maniglie o fenditure di sorta. Provai a tastare le singole pietre, una alla volta, finchè… avevo visto giusto: trovai una che fece scattare un meccanismo e il muro si aprì.
Dentro mi sarei aspettata un mondo a parte….. trovai invece una normale cantina, con botti di tutte le dimensioni. Sembrava di stare nella cantina dei Tre Orsetti. Una parte della cantina era sommersa nella neve (per fortuna avevo gli scarponi). La parete di fondo aveva uno stranissimo effetto ottico, sembrava in costante movimento. Aprii il rubinetto di una botte e ne uscì del vino rosso… Dietro c’era una vasca da bagno piena di vino, continuamente riempita da una botte sovrastante. C’era anche un bel tappeto rosso. Ho pensato alle stranezze di un bagno nel vino, ma poiché mi è capitato di fare un massaggio a base di vinaccia, e poiché uso l’aceto per ravvivare i colori del bucato…non mi meravigliai più di tanto e ne approfittai. Mi stesi nella vasca, in cerca di relax. La consistenza del liquido era strana, vischiosa, probabilmente perché era riscaldato, vedevo delle stufe in fondo e una colonnina luminosa… Mi avvicinai con lo zoom. Restricted access. Fill/drink. Lo zoom inavvertitamente si allargò su di me e sul tappeto rosso sotto la vasca…. Solo allora notai con raccapriccio la scheletrica testa demoniaca che vi era impressa. Balzai fuori disgustata. Non era vino… ed ero finita nella riserva speciale di un clan di vampiri.
Ovviamente il grosso portone di pietra si era nel frattempo richiuso, dal di dentro nessuna pietra nascosta che lo spostasse neanche di un centimetro… perlustrai la cantina in cerca dell’uscita, provai a sedermi fuori, niente. Finalmente alzando lo sguardo vidi che c’era uno spazio sottile tra il soffitto e la fine del muro, mi alzai in volo e atterrai dall’altra parte. La grande lapide invece si alzò senza fare storie, e fui fuori.
Il castello era piantato in una land senza particolari criteri urbanistici. Era ormai il tramonto, che indorava le sue mura. Fuori facevano indifferente mostra di sé una carrozza, una moto e un sidecar. Dopo il primo momento di smarrimento, confortata dal fatto di non vedere nessuno in giro, cominciai a pensare che in fondo sarebbe stato interessante conoscere un clan di vampiri e vedere dove abitavano. Decisi di entrare nel castello. Mi stancai di cercare l’entrata, così mi alzai di nuovo in volo e semplicemente scavalcai il muro. Atterrai in un chiostro di pietra grigia, con una graziosa fontana in mezzo. Dentro, stanze ariose, tutto era elegantemente sobrio e curato nei dettagli. Ogni elemento era cliccabile, per la gioia del mio mouse , per cui rinfocolai caminetti – non volevo che i padroni di casa la trovassero fredda – aprii armadi, regolai luci, provai sedie, divani e poltrone. Anche tavoli. Arrivai in cucina, stranamente una cucina moderna. Purtroppo il frigo non si apriva, ma sul fuoco bolliva qualcosa in una pentola. Qualcosa di liquido e rosso, ovviamente.
Mi spostai nel salotto, un computer era aperto sul tavolo, in mezzo a librerie colme di volumi antichi. Diedi una sbirciatina alle mail in arrivo, ma non vi dico cosa lessi. Sono troppo discreta per farlo. Una terrazza attrezzata con tavolo e sedute permetteva di godere l’aria fresca del tramonto. Ecco perché non c’era nessuno! Era ancora giorno… Salii ancora un piano di scale e mi trovai nella stanza padronale. Superba, inenarrabile, non si poteva lasciare così… e infatti non la lasciai, ma qui il mio racconto si sospende
Ci sono tornata oggi, volevo prendere ancora qualche immagine, in particolare proprio dell’ultima stanza che ho trovato, quella splendida alcova con letto a baldacchino di velo bianco e terrazzo in pietra con cuscini morbidi. Mi attendeva una brutta sorpresa però, le antipatiche linee rosse che delimitano le aree ad accesso privato . I padroni di casa avevano chiuso tutto. Vampiri temerari spaventati da una gnokketta innocua… Bah, probabilmente non avevo rifatto bene il letto . Anzi, ora che ci penso, credo di averlo lasciato proprio sfatto. Che gaffe! La prossima volta devo ricordarmene. E devo pure ricordarmi di fargli il bucato…
Per completezza d'informazione: io ho fatto foto della camera da letto, ma quelle che ho messo nell'album non sono mie... Oh insomma, le sue erano venute meglio, ecco
(pubblicato originariamente in data 22/07/2010)
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