Avevo letto recentemente un articolo di Alice Mastroianni che parlava di una land trovata mentre cercava il suo lato oscuro… Incuriosita dalla convergenza temporale di interessi, decisi di seguire il suo percorso. Lascio a lei il compito di documentare il viaggio con le foto, io ne ho postata solo qualcuna, per rendere l’idea, e mi affido invece alle parole, a me più congeniali. Mi sono quindi preparata alla discesa e…. ho cliccato sul teleport.
Appena teletrasportata, lo schermo si riempì di minacciose scritte verdi. Voice not available at your current location. Ah, perfetto. Non avrei potuto chiamare aiuto, in caso di necessità. Warning! Warning! Warning! Lampeggiava dappertutto, nell’oscurità totale del no-rez, e acuiva il senso di claustrofobia che cresceva. Il messaggio continuava: “Siete atterrati in un luogo off limits! Non temete (sarà, ma era tutto meno che rassicurante, quel tono…), date a ciò che vi circonda il tempo di apparire e toccate la maschera galleggiante". Ma quale maschera? Non si vedeva nulla di nulla, se non un pavimento rosso fuoco. "Non uscite da questa zona! La vostra presenza qui non è stata pensata…” Pensata da chi? Davvero la nostra presenza è pensata? Quanto è confortante questo pensare? Con queste domande esistenziali continuavo a guardarmi in giro, scrutando ogni piccolo cambiamento nell’oscurità illuminata solo dal rosso del pavimento.. Non era il pavimento. Era sul pavimento, era un caldo tappeto di lava, e stava salendo… Cominciai a temere veramente, quando apparve finalmente la maschera. In un altro momento mi avrebbe terrorizzato, l’enorme mascherone sghignazzante che incombeva sopra di me, ma in quel momento era l’unica possibilità di fuga. Premetti il palmo intero della mano su quel enorme volto, e fui fuori di lì.
Fuori, eppure dentro. Nell’incubo. Il prototipo del terrore interno: un enorme castello nero si stagliava isolato nella distesa d’acqua, e solo il ponte sospeso sembrava ricongiungerlo al resto del mondo. Mi voltai indietro, in un istintivo ripensamento, ma il ponte dietro a me era crollato in una voragine blu. Mi diressi allora verso l’entrata, alla grande cancellata.
Entrando, a sinistra una sala d’armi. A destra un piccolo giardino interno, con funghi dalle proporzioni inadeguate. Davanti a me un pesante portone di legno. Dopo un breve giro nel cortile antistante, spinsi il portone per aprirlo. Figure impassibili quanto minacciose aspettavano immobili un tributo di sangue. O almeno così sembrava, e decisi di non verificarlo.
Un sistema di porte e corridoi si snodava uguale in ogni direzione, con tappeti vermigli e pareti nere. Entrammo in una piccola stanza, un amico mi aveva raggiunto nel frattempo, anche se a malincuore - e solo per amicizia - avevo accettato la sua compagnia. Letti accatastati alla parete, sembrava il dormitorio di piccoli tremendi guardiani. Poi una cucina, con il camino acceso ma vuota e tremendamente fredda nonostante il fuoco. Un corridoio, un’altra porta di legno, una stanza ampia, stavolta. Un buco… una specie di arena dalle pareti altissime. A meno di volare, non si sarebbe usciti di lì. Sopra, due lunghe gabbie: per i combattenti, evidentemente. Ma… animali o uomini?
Una spada usciva per metà dalla sabbia sporca di sangue, in fondo all’arena. C’era un’incisione sull’elsa, la si leggeva a malapena. Diceva: “Io sono l’assetato metallo, dimenticato da lungo tempo in questa terra. La mia madrepatria fu devastata, una foresta prospera sulle sue rovine”. La estrassi e la infilai nella cintola. Avrebbe potuto servire.
Uscimmo, e ci dirigemmo in direzioni diverse. Tornai verso l’interno del castello, nel dedalo di stanze e saloni che ora si aprivano sui corridoi. Una musica martellante mi accompagnava, mentre la livida luce del tramonto invernale faceva sentire il suo freddo fin dentro l’anima. Ogni piccolo, innocuo oggetto, spostato, poteva trasportarmi in un angolo oscuro del maniero, le porte si aprivano su voragini. Dal radar, vidi che l’amico era scomparso. Ero di nuovo sola, completamente sola. A tenermi compagnia, solo i demoni che custodivano i segreti di quel luogo. E i miei demoni interiori. Arrivai in un piccolo salotto, la musica tacque. Il silenzio era talmente irreale che dovetti romperlo e cominciai a suonare il pianoforte che stava lì.
Appena terminata l’ultima nota, un’altra musica cominciò a diffondersi dal nulla. Luci blu filtravano oblique dalle finestre. Avevo bisogno d’aria, uscii sul balcone, ma solo per scoprire che si affacciava su un orrido altissimo e altrettanto angosciante delle strette stanze interne.
Appena terminata l’ultima nota, un’altra musica cominciò a diffondersi dal nulla. Luci blu filtravano oblique dalle finestre. Avevo bisogno d’aria, uscii sul balcone, ma solo per scoprire che si affacciava su un orrido altissimo e altrettanto angosciante delle strette stanze interne.
Piccole casette con graziosi fiori ai balconi… arredate poveramente, forse gli alloggi della servitù. Eppure il tocco di quei fiori portava la speranza. Il tempo di uscire di nuovo (erano troppo piccole, ci entravo a stento) e di alzarmi in volo…andai a sbattere contro qualcosa sopra di me. Un essere mostruoso, una specie di pesce enorme galleggiava nell’aria, immerso nella nebbia. Incatenate letteralmente a lui, tre terrazze galleggianti: una aveva una costruzione cilindrica insondabile, un’altra una torretta quadrata che avrebbe potuto essere una cella. Sulla terza c’erano strani circoli luminosi, immersi in una prato verde con pietre accatastate con cura sacerdotale… tentai di atterrare, e affondai nell’erba fino al petto. Mi arrampicai fino ad una delle piattaforme circolari. Fuoco, Acqua e Terra: ecco cosa stavano a rappresentare i circoli con i loro simboli e i loro colori…
Un bagliore azzurro fra i rami di un’enorme quercia attirò il mio sguardo. Mi diressi lì in volo e trovai una pietra azzurra, splendente, da cui scaturiva una sorgente d’acqua. Normalmente l’acqua è simbolo di vita… eppure questa sembrava mortifera. Decisi di seguirne il corso, scendeva lungo gradoni di pietra e finiva in una fontana, con una figura di pietra dolorosamente rannicchiata nel mezzo.
Appena dietro, una serie di grosse pietre aguzze: erano denti di fauci spalancate, e un buco nero invitava a scendere fino in fondo nelle profondità dell'anima e della terra. Mi ci incamminai decisa, e fui teletrasportata direttamente all’inferno descritto da Alice. Quelle che sembravano colonne di pietra, o enormi stalattiti, erano invece la spina dorsale di mostri giganteschi. Quel che restava della loro grandezza, pensai con un brivido. Notai che anche il ponte di legno sottile che stavo attraversando, in mezzo a fiumi di lava incandescente, si trasformava piano nella spina dorsale di una bestia… Un movimento sopra di me attirò la mia attenzione: con raccapriccio scoprii che un occhio mobile mi guardava, e mi accorsi che era incastonato nel petto di un demonio, che stava con le braccia allargate, come ad accogliere anime perse… Metà del suo corpo era stato sbranato, e le viscere penzolavano. Un clic di troppo… e mi trovai chiusa in una gabbia sospesa sul fiume di lava.
Vapori asfissianti salivano, cominciavo ad avere la mente confusa. Dei ricordi che vagavano, cercai di afferrare quello più dolce, un bacio rubato all’amore in questa land oscura, tempo prima, a ridosso di un albero su un giardino sospeso… Con la forza di quella emozione in qualche modo mi liberai, e proseguii per il ponte di legno. Alla fine una specie di totem mi attendeva. Neanche il tempo di sfiorarlo e mi trovai incatenata a lui, mentre con raccapriccio notavo viscide lingue che uscivano da tre piccole teste demoniache dietro di me. Di nuovo richiamai l’amore e il suo strazio, dalla profondità dell’anima. Di nuovo mi ritrovai libera dalle catene, nel lago infuocato. Arrivai nuotando a fatica, esausta, su un piccolo balcone, vi si apriva una stanza nera con un trono. La stanza del signore di quelle tenebre, colui che evidentemente si divertiva ad assistere all’agonia dei viandanti sfortunati. Entrò all’improvviso una donna incappucciata, vestita di nero e più immobile delle statue all’entrata. Con voce gentile mi fece presente che non avrei dovuto essere lì. Ero troppo stanca e provata per contestare, chiesi scusa e me ne andai il più veloce possibile, per quanto non sia esattamente veloce trovare dal nulla un posto fuori di lì…
Sbucai nel labirinto verde che circondava il maniero, mi alzai in volo e arrivai sopra i tetti, sopra le torri. I sereni riflessi del mare mi colpirono diretti. Mi ricordai a quel punto il nome della land. Il dolce saluto a una donna che schiaccia la testa del serpente, e dona la salvezza all’umanità. Sorrisi, dentro di me. Un'altra tappa del viaggio si era conclusa, ed ero viva.
Vapori asfissianti salivano, cominciavo ad avere la mente confusa. Dei ricordi che vagavano, cercai di afferrare quello più dolce, un bacio rubato all’amore in questa land oscura, tempo prima, a ridosso di un albero su un giardino sospeso… Con la forza di quella emozione in qualche modo mi liberai, e proseguii per il ponte di legno. Alla fine una specie di totem mi attendeva. Neanche il tempo di sfiorarlo e mi trovai incatenata a lui, mentre con raccapriccio notavo viscide lingue che uscivano da tre piccole teste demoniache dietro di me. Di nuovo richiamai l’amore e il suo strazio, dalla profondità dell’anima. Di nuovo mi ritrovai libera dalle catene, nel lago infuocato. Arrivai nuotando a fatica, esausta, su un piccolo balcone, vi si apriva una stanza nera con un trono. La stanza del signore di quelle tenebre, colui che evidentemente si divertiva ad assistere all’agonia dei viandanti sfortunati. Entrò all’improvviso una donna incappucciata, vestita di nero e più immobile delle statue all’entrata. Con voce gentile mi fece presente che non avrei dovuto essere lì. Ero troppo stanca e provata per contestare, chiesi scusa e me ne andai il più veloce possibile, per quanto non sia esattamente veloce trovare dal nulla un posto fuori di lì…
Sbucai nel labirinto verde che circondava il maniero, mi alzai in volo e arrivai sopra i tetti, sopra le torri. I sereni riflessi del mare mi colpirono diretti. Mi ricordai a quel punto il nome della land. Il dolce saluto a una donna che schiaccia la testa del serpente, e dona la salvezza all’umanità. Sorrisi, dentro di me. Un'altra tappa del viaggio si era conclusa, ed ero viva.
(pubblicato originariamente in data 01/06/2010)
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