Sollecitata da un post nel blog di alto livello di Botgirl Questi (roba sociologica, molto distante dalle mie ciance semiserie, per capirci), mi sono interrogata anch'io sul rapporto tra nome e identità. Virtuale, visto che siamo in questo campo. A differenza del nome RL, il nome/i nomi con cui decidiamo di presentarci nel Metaverso sono liberamente scelti, e proprio per questo è intrigante chiederci cosa esprime l'atto di nominarci. Dare un nome è, in fondo, dare sostanza.
Porto le mie osservazioni da Second Life®, un discorso analogo potrebbe valere per tutte le altre comunità virtuali anche se con specifiche caratteristiche per ciascuna, immagino. In SL c'è chi usa il proprio nome (il cognome no, è sempre scelto da una rosa prefissata al momento della registrazione), accompagnandolo magari alla data di nascita. C'è chi usa nomignoli, chi gioca fra nome e cognome, chi complica la vita agli altri con nomi lunghissimi che mai verranno utilizzati interamente (ora che finisco di digitare il suo nome, quello è già sparito....)
Ognuna di queste scelte esprime direttamente o indirettamente un diverso approccio a SL e in particolare una diversa concezione del rapporto SL/RL, reale/virtuale. Il nome poi esprime probabilmente una parte di sè, soprattutto quando non ha riferimenti con il nome RL. E' allora che diventa entità autonoma, il primo elemento di un avatar che comincia progressivamente a stagliarsi come creatura quasi autonoma, dotata di vita propria, sebbene sia una vita part-time. Vita part-time... oddio che concetto triste... Non è proprio così che mi sento... Forse perchè entrambi in fondo, avatar e suo corrispettivo umano, sono legati intrinsecamente, espressione di una realtà unica. Che poi è il motivo per cui mi è piuttosto difficile accettare la distinzione tra reale e virtuale come una dicotomia. Tendo a considerarlo piuttosto un continuum
Ma per tornare al nome, molti hanno chiesto da dove arriva il mio. Qualcuno lo scambia per un diminutivo (MOnica, soprattutto, ma anche Monia, Moana ), per un nome da uomo, per un'espressione dialettale....
NOOOO, niente di tutto ciò. Mo è l'esempio di quello che dicevo prima, del nome che sostanzia. Mo è un'entità indipendente, nata da sola. O meglio, qualche radice ce l'avrà pure lei, ma è talmente immersa nell'inconscio che se ne sono perse le tracce. Mo è nata davanti alla schermata di registrazione, si è fatta strada a gomitate, da subito, fra i vari Victoria, Jessica, Valentina. Nella nube indistinta dei molti nomi possibili, è apparsa a chiare lettere, maiuscole e assolutamente definite:
MO
Dal nome è scaturita l’essenza: come il suo nome, così Mo è immediata, diretta. Sufficientemente ambigua da riservarsi molteplici gradi di libertà nell’essere. Talmente semplice da risultare suo malgrado persino enigmatica, talvolta: appunto, come una sillaba senza senso apparente. Tagliente, incompleta, e contemporaneamente dolcissima, con quella vocale che riempie la bocca. Non nasconde niente, non può, in due lettere non c’è lo spazio per nascondere qualcosa. Eppure, sfuggente: appena cominci a chiamarla, hai già finito, e non c’è più. Però… è indimenticabile
(pubblicato originariamente in data 23/05/2010)
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