domenica 3 aprile 2011

Un'altra pelle, un'altra storia


Mi svegliai, stranita. Ero a terra, avvolta in un pesante mantello scarlatto e in un appiccicoso senso di estraneità a me stessa, da cui cercai di riemergere recuperando qualche barlume di consapevolezza. All'improvviso presi coscienza di una appiccicosità altra, umida fra le mie gambe. Un violento flashback mi riportò brutalità e resistenza, angoscia e oppressione: il sentimento dei vinti. Mi rannicchiai, a coprirmi dal freddo dell'ignoto. Avrei voluto chiudere gli occhi, ma la sensazione di estraneità era troppo forte, non voleva essere ignorata e dovetti permetterle di farsi strada. Era quasi l'alba, l'erba sotto e intorno a me apparteneva ad un luogo sconosciuto, non vi ero arrivata cosciente, ne ero certa. Un particolare attirò la mia attenzione: il mio polso era troppo sottile, la mano troppo bianca. Perplessa, più che spaventata, mi alzai un po' a fatica, come se non potessi completamente padroneggiare il mio corpo.

Mi diressi verso un piccolo specchio d'acqua vicino e guardai. L'immagine che mi rimandò non mi apparteneva: pallida ed esangue, minuta. Lineamenti fini che sembravano essere costantemente sul punto di spezzare il flebile legame con la Vita.
Vampiro? Un sorriso debole bastò ad escluderlo, e risi sommessamente di me stessa. Mi sistemai una ciocca di capelli fini, biondissimi e quasi inconsistenti dietro l'orecchio, e in quel gesto compresi: mi ero tramutata in un esemplare della razza elfica. Il seno roseo e appena accennato, il fisico vagamente androgino contrastavano con gli stivali pesanti e l'armatura. Solo la seta purpurea che mi avvolgeva la pelle raccontava il mio essere femmineo. Il pugnale sporco di sangue non mio, che tenevo in mano, diceva altro.

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