martedì 13 marzo 2012

L'isola di inchiostro


La guida delle destinazioni lo presentava come un mondo delirante di colori e scacchi, funghi giganti e non so cosa ancora. Insomma, qualcosa di psichedelico che non mi attirava un granchè. Stavo già per passare oltre, quando per sbaglio (sarà stato davvero uno sbaglio?) ho premuto il teleport. Mi sono trovata in un posto onirico, ma senza traccia di funghi giganti. Probabilmente mangiati dal mare di petrolio, o inchiostro. Tutti i toni del bianco e del nero si incontravano nella luce di un tramonto limpido. Doveva essere inchiostro, perchè ai miei piedi quella che sembrava sabbia era invece carta di giornale. Quasi rosa, una Gazzetta dello Sport sbiadita, molto sbiadita. Da un'isola minuscola, sufficiente appena per contenere un orologio che proietta i suoi memento, si passava su un'altra isola, appena appena più grande. File di ometti impassibili guardavano qualcosa che non c'era, senza alzare la testa all'orizzonte. Si erano scordati, probabilmente, che qualcosa più in là c'è sempre.
Piccole rose bianche e nere fiorivano incessantemente sotto nuvole sparse di inchiostro, a ingentilire l'aridità del verbo. Mi sono stesa al loro fianco, la sabbia-carta era calda. Respiro del loro respiro, ed è vitale. 
Un lungo viale conduceva ad una porta chiusa. Sembrava un passaggio impegnativo. Oltrepassare la soglia è sempre un passaggio impegnativo. Mi sono data tempo su una panchina, mentre piccole gocce di inchiostro cominciavano a bagnarmi. Erano piccole lacrime senza tristezza, a sciogliere la tensione del viaggio. 
Quando mi sentii pronta, afferrai la maniglia e la tirai a me. Una luce abbagliante mi accolse, e una colonna bianca. Un momento ancora di indecisione, poi cominciai ad esplorare con più meticolosità quel posto curioso. Non so bene come, all'improvviso mi trovai altrove. Ero sicura di non aver toccato nulla, stavolta, eppure mi trovai in mezzo al deserto. Era d'improvviso notte, ma era una notte di luna e quindi non faceva paura.  Non c'era modo di tornare giù, per cui mi rassegnai a godere di quella pace inattesa. Nebbia e scarni alberi si facevano compagnia, ma non poteva bastarmi. Mi accoccolai su una vecchia sedia di legno che sembrava quella del Piccolo Principe, e attesi il suo arrivo per meravigliarmi ancora di un'alba nuova, come il suo abbraccio.









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