Qualche volta succede, che qualcuno crei qualcosa e questo qualcosa parli a te. Tu ti metti lì e all'improvviso il tuo subconscio prende forma, e ti spaventi perchè nessuno dovrebbe sbirciarlo così, e meno male sbirciarlo ma metterlo poi in piazza davanti a tutti, un subconscio tutto nudo, con addosso solo il sacco amniotico del Gran Padre Incoscio. Mi succede, con un'opera di Gleman Jun, quando nel preparare la recensione per la sua mostra ad Astral Dreams succede che mi avvicino ad una figurina seduta su una panchina gialla, e avvicinandomi vedo che ha il mio nome in testa, e pure io ho il mio nome in testa, e non capisco come possa essere che tutte e due abbiamo il mio nome in testa. E allora succede che mi siedo accanto a lei, che sono me, e lei/me sta leggendo un libro, o sfogliando un tablet, ma all'improvviso si materializza qualcosa davanti, ed è appunto lui, il figlio del Gran Padre Inconscio.
E' colorato e informe e in movimento, ma mi piace che sia colorato, e mi piace che sia informe e in movimento. Solo che poi arriva un uomo nero, e spinge tutto in un rettangolone dove il colore si mescola e non è più brillante, come la creatività che deve ingabbiarsi in norme per venir accettata. e così si ferma, e si ferma l'anima e si ferma il respiro, finchè tutto comincia a diventare buio e quadrato e nero, una lista di codici e di parametri che rendono misurabile il mondo. Il colore esplode di nuovo, l'uomo nero arriva ancora, e si inseguono e capisco: abbiamo dentro il buio e il colore. Il colore è vita, sembra dire Gleman. Ma - aggiungo io - l'ombra talvolta è misericordia.
Provo a sbirciare le pagine del libro che la figurina tiene sulle ginocchia, mi sa che è il libro della vita. Ma non si fa leggere. ecco, la figurina sulla panchina ora butta via il mio nome, ne ha messo su un altro, con indifferenza, come una commessa di supermercato. Crudele proprio come la vita, a volte. Non mi resta che farmi abbracciare dalla pagina.
O dalla vita?
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